Giù alla Gaiola

Esistono luoghi e luoghi. In particolare, nella mia personale classifica ne annovero tre. I primi sono quelli legati ai ricordi d’infanzia nei quali torniamo volentieri solo per rimpiangere quanto fosse bello quel periodo in cui l’unica tua preoccupazione era l’interrogazione di fisica; alla seconda categoria appartengono quelli nei quali mai più vorremmo tornare per paura che possano rievocare fantasmi del passato che a fatica abbiamo cacciato via a calci dalla nostra mente e poi ci sono i luoghi dell’anima.

Posti in cui appendi al chiodo l’armatura, deponi tutte le armi e non hai paura di mostrarti per quello che sei.

Sono i luoghi in cui sento il bisogno di tornare almeno una volta l’anno come una sorta di ritro spirituale, sacro per sentirmi protetta, tutelata, amata e per starmene un po’ con me.

E dunque, rieccomi qui. Giù fino alla Gaiola.

La spiaggetta è intatta. Uguale all’ultima volta che ci sono stata come se il mare la amasse così tanto da non consumarla mai. Mi arrampico sul muretto che divide questa lingua di sabbia dall’area protetta del parco sommerso e raggiungo gli scogli accarezzati dalle onde del mare. In questo periodo dell’anno l’acqua è cristallina e brilla come se contenesse tanti piccoli diamantini sul fondo grazie al riflesso di un sole immenso che riscalda senza bruciare.

Mi stendo sugli scogli,

li abbraccio.

Ascoltando il mare

lascio che le sue onde mi bagnino le mani.

E con gli occhi rivolti al cielo,

firmo il mio patto di riconciliazione col mondo.

 

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