Sempre in Sella

“La chiamavo La Pescara. Ero profondamente legato a quel paese. Ci andavamo tutte le estati, io e i miei genitori. In questo periodo, la pioggia era davvero rara e il sole spaccava le pietre. Qualche anno fa, quando mi svegliavo, andavo spesso da zia Dina che aveva le galline e mi faceva sempre l’uovo sbattuto. Mangiavo anche un bel cornetto, immancabile a casa sua! Poi prendevo la Cavalletta, un Gilera del 1982, l’unico motivo per cui tornavo. Mi ero ripromesso, quest’estate, che l’avrei rimessa a nuovo dopo i primi anni di Accademia Navale. Mi piaceva girare per ore tutta la mattina. Andavo ad Arquata, scendevo verso Borgo e mi fermavo a Trisungo, dove c’è un bar in cui beccavi sempre qualche parente, anche alla lontana, o qualche amico di famiglia che non vedevi da tanto. Parlavo per ore di calcio e, come al solito, ero in minoranza. Uno dei pochissimi a tifare Samb. Riempivo sempre una tanica da 5 litri al distributore per garantirmi il viaggio seguente, con il vento tra i capelli e un po’ di buona musica agli auricolari. Non passava mai nessuno, anche se mio padre il casco me lo faceva portare sempre dietro (“magari ti trovano i carabinieri, te lo sequestrano e io ti gonfio”). Posata la Cavalletta pranzavo nella casa in cui mio padre è nato e cresciuto, con foto di vecchi parenti mai conosciuti, ricordi ormai sbiaditi dal tempo e, velocemente, risalivo in sella per scendere verso “Lu Cavò”. Qui, dopo aver assaggiato spintaneamente la torta appena preparata da una vecchia zia di quinto grado che ti tratta come se fossi suo figlio, incontravo sempre qualcuno a mangiare all’aria aperta pronto a chiedermi cosa facessi nella vita e come mai fossi sparito da tempo. Alle 5 era già ora di prendere le scarpe da calcetto perché la Cavalletta ti porta lontano, fino a Grisciano, passando per la parte nuova della salaria. Lì il casco andava messo perché, la Cavalletta, aveva le ruote un po’ sgonfie e andava piano mentre le auto sfrecciavano verso Roma, ignare della magia di quei posti. Giocavo a calcio fino all’ora di cena e utilizzavo sempre per ultimo la doccia, il che voleva dire acqua calda in quantità minore. D’altronde si sa, in una casa vecchia come il mondo l’acqua calda dura poco. Eppure la giornata non finiva lì. La sera proponeva migliaia di alternative come le tante sagre dove poter mangiare la Griscia, l’Amatriciana o la Norcina, in onore di quelle città limitrofe a La Pescara che hanno inventato questi piatti ormai internazionali. E poi c’era il Circolo, l’unico punto di ritrovo serale della Pescara. Trovavi di tutto: il biliardo, il biliardino, tornei di tressette, bottiglie di birra, gelati, gente di tutte le età che si conosceva ormai da 40 anni e più. E tornavi tardi la sera anche a 14 anni. A La Pescara tutto era concesso, non c’era mai nessuno. Prima di rientrare, però, prendevo la Cavalletta un’ultima volta. In questo posto dimenticato da Dio il cielo era pieno di stelle e, affascinato dal loro scintillio, le ammiravo per una mezz’ora buona in un piccolo sentiero vicino al fiume dove ogni tanto mi capitava, con mio padre, di andare a pesca al di fuori del paese. Da oggi tutto questo non c’è più. È svanito nell’arco di pochi minuti. Tutto è stato spazzato via: vite, ricordi, tradizioni. Non so quando tornerò. La casa di mio padre, non so per quale strano motivo, è ancora in piedi, circondata dal vuoto. Non so ancora se quel Gilera dell’82 sia distrutto. Vorrei tanto ripartire da quella Cavalletta che mi donava la libertà, che mi portava nel paese delle fate della sibilla, lentamente, tanto nessuno mi metteva fretta, lasciandomi godere il paesaggio incontaminato dell’Appennino marchigiano. Da oggi molti di quei parenti e amici non ci sono più, cancellati al crollare di vecchie e pittoresche abitazioni per una tragica fatalità. Sono ancora scosso. La Pescara non tornerà mai più come prima. La Pescara non esiste più. Da lì risalgono le mie origini, le storie della mia famiglia. Nel mio cuore, infatti, ci sarà sempre una Cavalletta che mi porterà tra i vicoli di quel paesino ogni volta che vorrò, ci sarà sempre una tanica da 5 litri pronta per me!”

Giuseppe Pala

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